Pubblicato da : Avv. Alessandro Amaolo
Data: 30/01/2012L’articolo
64 della Legge 31 maggio 1995, n. 218, stabilisce che
le sentenze emanate da autorità
straniere
hanno pieno effetto in Italia senza che sia necessario il ricorso ad
alcun
procedimento, a condizione, però, che siano soddisfatti i
seguenti requisiti:
●
il
giudice che ha pronunciato la sentenza poteva conoscere della causa in
base ai
principi sulla competenza
giurisdizionale propri dell’ordinamento italiano;
●
l’atto
introduttivo del giudizio è stato portato a conoscenza del
convenuto in
conformità a quanto previsto dalla legge del luogo dove si
è svolto il processo
e non sono stati violati i diritti essenziali della difesa[1].
Ciò sta
a significare che è
necessario un duplice requisito: il primo è
che l’atto introduttivo del giudizio sia portato a conoscenza
del convenuto in
conformità a quanto previsto dalla legge del luogo dove si
è svolto il
processo. Il secondo, invece, che nell’ambito del processo
svoltosi dinanzi al
giudice straniero non siano stati violati i diritti essenziali della
difesa. A
mio modesto parere, in tale situazione entrambi i requisiti debbono
concorrere
in modo che la verifica relativa alla sussistenza dell’uno
dei due requisiti
non assorbe quella attinente alla sussistenza dell’altro.
●
le
parti si sono costituite in giudizio secondo la legge del luogo dove si
è
svolto il processo o la contumacia è stata dichiarata in
conformità a tale
legge;
●
essa è passata in
giudicato secondo la
legge del luogo in cui è stata pronunziata. Di
conseguenza, l’accertamento
dei requisiti essenziali, affinché la sentenza possa
ritenersi passata in
giudicato, deve essere espletato alla luce del diritto straniero;
●
essa
non è contraria ad altra sentenza pronunziata da un giudice
italiano passata in
giudicato;
●
non
pende un processo davanti a un giudice italiano per il medesimo oggetto
e fra
le stesse parti, che abbia avuto inizio prima del processo straniero;
●
le sue disposizioni non producono
effetti
contrari all’ordine pubblico[2].
In
argomento, di recente,
In conclusione,
tutte le novità
introdotte con la legge 218/1995
permettono, oggi, di riconoscere pari dignità alle sentenze
pronunciate dai
giudici stranieri rispetto a quelle interne, ma alla specifica
condizione che
le sentenze straniere soddisfino i sopraccitati requisiti fondamentali.
Infine, per
completezza espositiva,
c’è da dire che in ambito comunitario il
riconoscimento in Italia delle
sentenze straniere trova la sua disciplina nel Regolameto CE n. 44/2001 del Consiglio
del 22 dicembre 2000
riguardante la competenza giurisdizionale, il
riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia
civile e commerciale.
[1]
In
tema di riconoscimento di sentenze straniere, ai sensi della legge n.
218 del
1995, i vizi che, se tempestivamente dedotti avanti al
giudice straniero avrebbero inficiato il
giudizio (quale il
vizio della notifica
dell’atto introduttivo e la pretesa incongruità
del termine a comparire
assegnato al convenuto), non possono essere fatti valere, per la prima
volta,
davanti al giudice italiano. Ciò vale, a maggior ragione,
anche in ordine al
preteso difetto di “competenza giurisdizionale”,
secondo i principi propri
dell’ordinamento italiano, ai sensi dell’art. 64,
primo comma, lett. a), della
legge n. 218, atteso che si tratta di materia derogabile, ai sensi
dell’art. 4
della legge n. 218. Cassazione Civile,
Sezione I, sentenza 29 maggio
2003, n. 8588
[2] Non contrasta con l’ordine pubblico una sentenza australiana di divorzio che non statuisce in merito agli aspetti patrimoniali ad esso relativi, malgrado il breve termine di decadenza previsto da tale ordinamento per l’esercizio di tali diritti. (Tribunale di Padova, sentenza 24 settembre 1999).
Pubblicato da : Avv. Alessandro Amaolo