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![]() lucio2 Utente registrato 30/03/2013 19:43:53 |
![]() Nel 2006 Caio inopinatamente ed approfittando dell’assenza di Tizia (trasferitasi con il proprio nucleo familiare in altra regione per motivi di lavoro) toglie il serbatoio tappando i tubi di adduzione allo stesso. Tizia, dopo inutili solleciti a mezzo lettere raccomandate nel 2009 fa causa a Caio per la tutela della servitù chiedendo la ricollocazione del detto serbatoio. Nelle more è deceduto il marito di Tizia. Controparte si costituisce ed eccepisce di aver tolto il serbatoio dell’acqua su indicazione ed autorizzazione del marito di Tizia (deceduto) insistendo nell’ammissione di prove testimoniali sul punto. Premesso che ciò non è vero, che il marito di Tizia è morto e non può né confermare né smentire nulla, chiedo di sapere se il marito (in regime di comunione dei beni) e in relazione all’immobile in questione (ereditato da Tizia durante il matrimonio) può giuridicamente autorizzare l’eliminazione della servitù in questione? |
![]() claistron Staff 10163 interventi 30/03/2013 20:14:41 | ![]() Se la controparte fosse in grado di dimostrare che il serbatoio non è più "indispensabile" (migliorie dell'acquedotto) la servitù cesserebbe di fatto. Appare comunque fondata la tesi della controparte se retta da una minima possibilità di testimonianza, visto che non esistono prove documentali della rinuncia alla servitù da parte del defunto comproprietario. Ricorda che la controparte avrebbe potuto eliminare il serbatoio in oggetto (visto che a lui non serve) adducendo problematiche relative alla sicurezza, ai costi di manutenzione non sopportati negli anni dall'utente, dal non utilizzo del serbatoio (trasferimento), alla vetustà e non salubrità del manufatto, ecc. Sarei cauto nel continuare la lite, soprattutto se vi sono possibilità di ripristino anche solo parziale, eliminando in parte l'onere sopportato dalla controparte. |
![]() lucio2 Utente avanzato 12 interventi 31/03/2013 08:13:01 | ![]() Grazie per la tempestiva risposta ma con essa i dubbi si ingigantiscono sulla premessa che non è assolutamente vero che il marito di Tizia abbia autorizzato alcunchè formulo i sottostanti quesiti: 1) - la rinuncia della servitù non deve avvenire con atto che riveste la forma scritta sotto pena di nullità ai sensi dell'art. 1350, n 5 cod.civ.? 2) - Il bene immobiliare, appartamento sito al piano terra (tutto il palazzo di due piani in origine era dei genitori), ereditato da Tizia entra a far parte della comunione legale? 3)- In relazione alla risposta cui al punto 2, il marito è comproprietario o no dell'immobile ereditatro dalla moglie e, come tale, può disporre del diritto per rinunciare alla servitù? 4)- Il non uso della servitù o del serbatoio dell'acqua deve essere prolungato per venti anni (ex art. 1073 c.c.) affinchè possa estinguersi il diritto di servitù? |
![]() lucio2 Utente avanzato 12 interventi 31/03/2013 08:15:20 | ![]() |
![]() claistron Staff 10163 interventi 31/03/2013 09:30:05 | ![]() L'eredità di bene immobile non entra a far parte di fatto della comunione. Il marito non avrebbe quindi avuto titolo alla rinuncia. La servitù può cessarie in vari modi, non è necessario l'uso ventennale del bene. Ad esempio può cessare, come ti ho detto sopra, per sopravvenuta miglioria dell'acquedotto comunale e quindi inutilità del serbatoio stesso. Io analizzerei meglio il fatto della sicurezza delle cose e persone, dell'inutilità, della vetustà, della mancata manutenzione, della pericolosità di avere oltre una tonnellata di acqua sulla testa ...... Hai molte opzioni favorevoli e qualcuna contraria, tienine conto. |