Riconoscimento di paternità e delibazione preliminare |
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Redazione
Corte costituzionale
Sentenza 10 febbraio 2006, n. 50
[...] nel giudizio di legittimità costituzionale
dell'art. 274 del codice civile, promosso con ordinanza del 26 novembre 2004
dalla Corte di cassazione, nel procedimento civile vertente tra Ivan Bxxx
e Mxxx Rizzo Emanuela ed altri, iscritta al n. 57 del registro ordinanze
2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 8, prima
serie speciale, dell'anno 2005.
Visti gli atti di costituzione di Ivan Bxxx e di Mxxx Rizzo Alessandro
ed Emanuela;
udito nell'udienza pubblica del 10 gennaio 2006 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;
uditi gli avvocati Mario Loria per Ivan Bxxx e l'avvocato Antonio D'Alessio
per Mxxx Rizzo Alessandro ed Emanuela.
RITENUTO IN FATTO
1. - Con ordinanza depositata il 26 novembre 2004, la Corte
di cassazione - nel corso di un giudizio avverso una sentenza della Corte
d'appello di Venezia che aveva dichiarato improponibile l'azione per la dichiarazione
giudiziale di paternità naturale per la carenza della previa dichiarazione
di ammissibilità dell'azione - ha sollevato, in riferimento agli artt.
2, 3, 24, 30 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell'art. 274 del codice civile «nella parte in cui subordina al previo
esperimento di una procedura delibatoria di ammissibilità l'esercizio
dell'azione di riconoscimento di paternità naturale promossa da un
soggetto maggiorenne ai sensi del precedente art. 269 c.c.».
Premette la Corte rimettente di avere sollevato analoga (ma non identica) questione,
nel corso del medesimo processo, con ordinanza del 3 luglio 2003, nella quale
il dubbio di legittimità della suddetta disposizione era diffusamente
argomentato con riferimento a quattro distinti profili: a) la sopravvenuta
irragionevolezza intrinseca della norma, con riguardo alla sua originaria ratio
di tutela del convenuto a fronte di avverse iniziative pretestuose o temerarie;
b) il suo carattere discriminatorio nei confronti dei figli naturali, non essendo
analogo procedimento delibatorio previsto per la corrispondente azione di accertamento
della filiazione legittima; c) il carattere obiettivamente ostativo della procedura
rispetto alla tutela dei diritti fondamentali dei figli naturali, attinenti
al loro status ed alla loro identità biologica; d) la dubbia compatibilità del
procedimento di ammissibilità, quale modellato dal diritto vivente,
con il canone della ragionevole durata del processo, a sua volta coessenziale
al giusto processo.
Detta questione è stata dichiarata manifestamente inammissibile, con
ordinanza n. 169 del 2004, in ragione di una duplice carenza di motivazione:
da un lato, in punto di rilevanza, quanto all'eccezione, formulata nel giudizio
a quo dai convenuti, di intervenuto giudicato sulla inammissibilità della
domanda; dall'altro, in punto di non manifesta infondatezza, per l'omessa considerazione,
da parte della Corte rimettente, della concorrente finalità di tutela
del minore assegnata al procedimento delibativo sub art. 274 cod. civ. dalla
sentenza n. 341 del 1990 e ribadita dalla successiva pronuncia n. 216 del 1997.
Tutto ciò premesso, osserva il giudice rimettente che la riproposizione
della questione - previa integrazione della motivazione - costituisce a questo
punto «atto istituzionalmente dovuto», stante la persistenza del
dubbio di legittimità costituzionale ed essendo d'altro canto pacifica,
nella giurisprudenza costituzionale, la emendabilità delle carenze motivazionali
che abbiano condotto alla declaratoria di inammissibilità della questione.
Ai fini, dunque, dell'integrazione della motivazione sulla rilevanza, precisa
la Corte di cassazione che non è ravvisabile alcun giudicato nella sentenza
della stessa Corte n. 8342 del 1999, che ebbe a cassare l'ordinanza di sospensione
del giudizio di merito in pendenza del procedimento delibatorio. Con quella
sentenza, infatti, la Corte demandò al giudice di primo grado «di
decidere egli (né evidentemente avrebbe potuto farlo essa nella sede
del regolamento di competenza ex art. 42, nuovo testo, del codice di procedura
civile), sulla questione della proponibilità dell'azione di riconoscimento
nella carenza attuale di un provvedimento definitivo di autorizzazione ex art.
274 c.c.», cosicché quella sentenza null'altro configura che un
giudicato sulla competenza a procedere del giudice adito, che aveva erroneamente
sospeso il processo. Con la conseguenza, dunque, che è stato solo il
Tribunale, adito con l'azione di dichiarazione giudiziale, ad escluderne l'ammissibilità,
per difetto del presupposto processuale di cui all'art. 274 cod. civ., con
sentenza confermata dalla Corte di appello, avverso la cui pronuncia è stato
proposto il ricorso per cassazione di cui si tratta.
Quanto, poi, alla «più compiuta individuazione del contenuto della
norma denunciata», ai fini della motivazione in punto di non manifesta
infondatezza, precisa la Corte rimettente che la questione sollevata non può che
investire la sola ipotesi (che viene in considerazione nella fattispecie) di
azione proposta ai sensi dell'art. 269 cod. civ. da soggetto maggiorenne, senza
in alcun modo coinvolgere il procedimento, additivamente rimodellato dalle
sentenze n. 341 del 1990 e n. 216 del 1997, relativo ai minori.
Osserva quindi il rimettente che la stessa Corte costituzionale, nella citata
sentenza n. 216 del 1997, ha precisato che, ai fini della ammissibilità della
domanda formulata dal maggiorenne, «è sufficiente l'esistenza
di elementi anche di tipo presuntivo idonei a far apparire l'azione verosimile,
tanto che la pronuncia di ammissibilità può essere fondata anche
sulle sole affermazioni della parte ricorrente».
Il procedimento ex art. 274 cod. civ., così inteso, risulterebbe all'evidenza
non più idoneo ad assolvere la finalità, per la quale era stato
introdotto, di tutela del preteso genitore da istanze vessatorie o ricattatorie,
tanto più che - nella assai infrequente ipotesi di diniego della autorizzazione
all'azione - la domanda è reiterabile sulla base di nuove allegazioni
senza alcun limite temporale.
I connotati di segretezza della procedura, inoltre, risulterebbero fortemente
attenuati nella fase di gravame, per effetto della progressiva accentuazione
del carattere contenzioso della procedura stessa, e del tutto azzerati in sede
di ricorso per cassazione, stante la necessaria pubblicità del giudizio
di legittimità.
In definitiva, la fase di delibazione avrebbe perso, in riferimento all'ipotesi
di domanda proposta da soggetti maggiorenni, ogni ragione giustificativa ed
addirittura si presterebbe ad essere strumentalizzata in danno del convenuto
- alla cui tutela era originariamente preposta - proprio in considerazione
della reiterabilità senza limiti temporali della domanda.
Di qui il dubbio di legittimità costituzionale della norma in riferimento
all'art. 3, secondo comma, Cost., per la sua intrinseca irragionevolezza; in
riferimento all'art. 3, primo comma, Cost., per la disparità di trattamento
che ne deriverebbe tra figli legittimi e figli naturali in tema di riconoscimento
della paternità; in riferimento agli artt. 2, 30 e 24 Cost., per il
vulnus alla effettività di tutela di diritti fondamentali, attinenti
allo status ed alla identità biologica, «che la coscienza sociale
avverte come essenziali allo sviluppo della persona».
Sarebbe infine «di particolare delicatezza», ad avviso della Corte
rimettente, il profilo di contrasto con l'art. 111 Cost., derivante dalla dubbia
compatibilità del procedimento in questione con il precetto della ragionevole
durata del processo, anche in relazione all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione
europea dei diritti dell'uomo. Un iter procedurale defatigatorio, «ove
pur tale per accentuazione di garanzie», sarebbe, infatti, per definizione,
non conforme al parametro del giusto processo, il cui rispetto comporta la
necessità di ricondurre a ragionevolezza i tempi del processo, anche,
eventualmente, attraverso lo scrutinio di costituzionalità.
2. - Si è costituita in giudizio Bxxx Ivan, attrice nel giudizio
a quo, concludendo per l'accoglimento della questione sulla scorta di considerazioni
non dissimili da quelle svolte dal giudice rimettente.
3. - Si sono altresì costituiti in giudizio, con ampia memoria, Alessandro
ed Emanuela Mxxx Rizzo, convenuti nel procedimento per dichiarazione giudiziale
di paternità quali eredi degli eredi del presunto padre.
In via preliminare, le parti suddette, considerato che è ormai imminente
l'approvazione di una modifica dell'art. 274 cod. civ. (art. 69 del disegno
di legge n. 2430 del Senato della Repubblica) che, pur confermando «la
giusta cautela preventiva dell'ammissibilità», rimodellerebbe
il procedimento in modo tale da superare i dubbi di legittimità costituzionale
prospettati dal rimettente, chiedono un differimento della pubblica udienza
in attesa della nuova normativa.
In subordine, le medesime parti concludono per la declaratoria di inammissibilità o,
in via gradata, di infondatezza della questione, ovvero, in via di ulteriore
subordine, in caso di accoglimento, per la declaratoria di decorrenza degli
effetti dalla data della sentenza.
La questione sarebbe innanzi tutto priva di rilevanza a causa del giudicato
sulla inammissibilità dell'azione derivante non solo dalla sentenza
n. 8342 del 1999, emessa in sede di regolamento di competenza, ma anche dalla
sentenza n. 9033 del 1997, con la quale la Corte dichiarò la nullità,
per difetto di contraddittorio, del decreto di ammissibilità dell'azione
a suo tempo emesso dal Tribunale di Treviso.
La questione stessa sarebbe, poi, non adeguatamente motivata quanto alla non
manifesta infondatezza e, comunque, non fondata, tenuto conto della finalità squisitamente
patrimoniale dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità promossa
da un maggiorenne e della conseguente «necessità logica» di
un filtro che garantisca il convenuto da azioni temerarie o vessatorie, tanto
più quando l'azione sia proposta - come nella specie - nei confronti
degli eredi degli eredi del preteso padre, del tutto all'oscuro dei fatti di
causa e nell'impossibilità di ricorrere alla prova del DNA a seguito
della intervenuta cremazione del loro dante causa.
Un siffatto filtro preventivo non rappresenterebbe d'altro canto un unicum
nel panorama legislativo, analogo giudizio di ammissibilità preventivo
essendo previsto, ad esempio, dall'art. 5 della legge n. 117 del 1988 sulla
responsabilità civile dei magistrati.
L'esigenza di una fase preliminare di ammissibilità si porrebbe del
resto con particolare evidenza ove si consideri che, per pacifica giurisprudenza,
l'azione per il riconoscimento giudiziale di paternità naturale può essere
proposta unitamente a quella di petizione ereditaria, la cui trascrivibilità è suscettibile
di provocare danni irreparabili alla famiglia legittima del preteso padre.
4. - Nella imminenza della data fissata per la udienza pubblica, la difesa
dei convenuti Alessandro ed Emanuela Mxxx Rizzo ha presentato una memoria,
con la quale ha ribadito le conclusioni già rassegnate, con riferimento,
in particolare, al rilievo di difetto di motivazione sulla rilevanza della
questione sollevata, per la presenza dei due giudicati di cui alle sentenze
n. 9033 del 1997 e n. 8342 del 1999 della Corte di cassazione.
Nella memoria si eccepisce un ulteriore profilo di irrilevanza per il fatto
che la Cassazione, dopo aver affermato un principio di diritto vincolante,
ed avere, pertanto, almeno implicitamente, vagliato la costituzionalità della
norma sulla quale esso era fondato, ha sollevato, su richiesta della parte
soccombente, questione di legittimità costituzionale di quella stessa
norma sulla quale era stato definito in precedenza, dal medesimo giudice, detto
principio di diritto, tanto più che la I sezione civile della stessa
Cassazione ha riproposto la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 274 cod. civ. - dopo che essa era stata dichiarata manifestamente
inammissibile con ordinanza della Corte costituzionale n. 169 del 2004 - senza
colmare la lacuna motivazionale evidenziata dalla predetta ordinanza, ma limitandosi
a circoscrivere il sospetto di incostituzionalità a quella parte della
norma concernente il giudizio di ammissibilità dell'azione per la dichiarazione
giudiziale di paternità e maternità naturale di maggiorenne.
La difesa della parte privata ha dedotto, inoltre, la non rilevanza della questione
sollevata perché non influente sul giudizio a quo, improponibile nei
confronti degli eredi indiretti, per mancanza di legittimazione passiva degli
stessi, a seguito della sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione
n. 21287 del 2005; ed, ancora, la nullità del giudizio principale in
quanto promosso innanzi ad un giudice incompetente, rilevando che esso era
stato incardinato innanzi al Tribunale di Treviso - precedentemente alla sentenza
della Corte di cassazione n. 2016 del 2001, con la quale, in sede di regolamento
di competenza, era stata dichiarata la competenza del Tribunale di Roma - e,
poi, era proseguito innanzi alla Corte di appello di Venezia, e, quindi, in
Cassazione, nonostante la esplicita eccezione di incompetenza sollevata dai
convenuti in seguito alla citata sentenza n. 2016 del 2001.
Nella memoria si fa, infine, presente che, essendo passata in giudicato, per
effetto della sentenza della Corte di cassazione n. 16531 del 2005, la dichiarazione
di ammissibilità dell'azione di cui si tratta, richiesta sempre dalla
signora Ivan, costei potrà nuovamente esperire l'azione di merito presso
il Tribunale di Roma.
Nel merito, si conclude per la manifesta infondatezza della questione, e, qualora
la Corte decida di accoglierla con riferimento all'art. 111 della Costituzione,
sotto il profilo della violazione del principio della ragionevole durata del
processo, si chiede che gli effetti di detta decisione siano fatti decorrere
dalla data di entrata in vigore della legge costituzionale n. 2 del 1999.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. - La Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale
dell'art. 274 del codice civile, in quanto la norma impugnata, prevedendo
una preliminare delibazione di ammissibilità dell'azione per la dichiarazione
giudiziale di paternità o di maternità naturale promossa da
un soggetto maggiorenne ai sensi dell'art. 269 cod. civ., violerebbe l'art.
3, secondo comma, della Costituzione, sotto il profilo dell'«eccesso
di potere legislativo», a causa della contraddizione intrinseca tra
l'attuale disciplina del procedimento - non più caratterizzato da
segretezza dell'indagine, quanto meno nella fase di legittimità, e
suscettibile di reiterazione, sulla base di elementi ulteriori, senza alcun
limite temporale - e la ratio originaria della norma, intesa a tutelare il
convenuto da azioni temerarie o infondate; l'art. 3, primo comma, Cost.,
per la disparità di trattamento, quanto alle condizioni per l'accertamento
dei rispettivi status, tra i figli di genitori coniugati e non coniugati;
gli artt. 2, 30 e 24 Cost., per l'obiettivo effetto di ostacolo alla tutela
di diritti fondamentali dei figli naturali che siffatto procedimento determinerebbe;
nonché l'art. 111 Cost., sotto il profilo della irragionevole durata
del processo.
2. - Questione analoga a quella all'odierno esame era già stata sottoposta
nel corso della medesima controversia all'esame di questa Corte, la quale l'aveva
dichiarata manifestamente inammissibile con ordinanza n. 169 del 2004.
I rilievi che avevano dato luogo alla pronuncia di manifesta inammissibilità riguardavano,
per un verso, l'avere omesso il giudice a quo ogni motivazione in ordine alla
circostanza che nel corso del giudizio principale fosse già intervenuto
un giudicato in punto di ammissibilità della domanda per effetto dell'avvenuta
cassazione (Cass. n. 8342 del 1999) della ordinanza di sospensione del giudizio
di merito, con conseguente, possibile irrilevanza della questione proposta;
per l'altro, una carenza di motivazione, in punto di non manifesta infondatezza
della questione, per la omessa considerazione della concorrente finalità della
norma impugnata di tutela del minore, affidata al procedimento delibativo di
cui all'art. 274 cod. civ. dalla sentenza della Corte n. 341 del 1990, e ribadita
dalla successiva sentenza n. 216 del 1997, con conseguente censura al rimettente
di non aver individuato compiutamente la norma denunciata e le ragioni che
la ispirano.
Tali rilievi sono superati dalla nuova ordinanza.
Infatti, la stessa precisa, quanto al primo aspetto, con motivazione non implausibile,
che nessun giudicato è ravvisabile sulla ammissibilità dell'azione
alla stregua della citata sentenza della Corte di cassazione n. 8342 del 1999,
avuto riguardo al fatto che, con detta pronuncia, fu demandato al giudice di
decidere egli stesso sulla proponibilità dell'azione, e che, pertanto,
quella decisione configura solo un giudicato sulla competenza del giudice adito.
Quanto all'altro profilo di inammissibilità cui fa riferimento la ordinanza
di questa Corte n. 169 del 2004, relativo alla non compiuta individuazione
della norma denunziata, la nuova ordinanza di rimessione precisa che la questione,
sorta nel corso di un giudizio promosso ai sensi dell'art. 269 cod. civ., investe
solo la domanda proposta da maggiorenne.
3. - In via preliminare vanno esaminati i profili di inammissibilità evidenziati
dai convenuti nel giudizio principale, costituitisi nel giudizio innanzi alla
Corte.
3.1. - L'eccezione di giudicato sulla inammissibilità dell'azione per
la dichiarazione giudiziale di paternità, ravvisabile, secondo i predetti,
nella sentenza della Corte di cassazione n. 9033 del 1997, con la quale fu
dichiarata la nullità, per difetto di contraddittorio, del decreto di
ammissibilità emesso dal Tribunale di Treviso, è infondata, in
quanto detta sentenza - come, del resto, rilevato dal rimettente già nella
prima ordinanza di rimessione - non ebbe affatto a rendere definitiva una statuizione
di inammissibilità, essendosi, invece, limitata a rinviare al primo
giudice, che già aveva ritenuto l'ammissibilità dell'azione,
per la integrazione del contraddittorio.
3.2. - Parimenti infondata risulta la eccezione di inadeguata motivazione in
ordine alla non manifesta infondatezza, dal momento che tale motivazione, al
contrario, è particolarmente articolata, con riguardo alla inidoneità del
filtro apprestato dalla procedura di cui all'art. 274 cod. civ. e alle finalità per
le quali era stato introdotto.
3.3. - Né appare meritevole di accoglimento la eccezione di irrilevanza
della questione con riferimento alla circostanza che la Corte di cassazione,
nella citata sentenza n. 8342 del 1999 - con la quale, nel decidere sul regolamento
di competenza cui si è fatto riferimento, aveva affermato il principio
che la parte istante, prima della pronuncia definitiva sull'ammissibilità, è priva
del potere di chiedere l'accertamento giudiziale della filiazione naturale
e che la domanda proposta deve essere dichiarata improponibile dal giudice
della fase di merito - avrebbe già, nell'effettuare tale interpretazione
dell'art. 274 cod. civ., almeno implicitamente, compiuto un esame della conformità a
Costituzione della stessa norma.
Al riguardo va osservato che nel nostro sistema di garanzie costituzionali
non è assolutamente ipotizzabile un giudicato sulla legittimità costituzionale
di una norma.
E ciò prescinde dalla valenza di principio vincolante dell'affermazione
di cui si tratta nel caso di specie, in cui questa era stata compiuta con riguardo
alla individuazione del giudice competente alla valutazione dell'ammissibilità dell'azione
per la dichiarazione giudiziale di paternità, in un caso in cui, per
una complessa vicenda processuale, il giudizio di merito era iniziato prima
del giudizio definitivo sull'ammissibilità e la Cassazione ne aveva
ritenuto erronea la disposta sospensione.
3.4. - Si deduce, inoltre, la inammissibilità per irrilevanza della
questione in considerazione della sopravvenuta sentenza delle Sezioni unite
n. 21287 del 2005, con la quale, in sede di composizione di contrasto di giurisprudenza,
si è esclusa la legittimazione passiva, nel giudizio per la dichiarazione
giudiziale di paternità, degli eredi degli eredi del preteso padre naturale.
Anche questa eccezione è infondata: la valutazione della mancanza di
siffatta legittimazione in capo ai convenuti nel giudizio principale per effetto
di una decisione del giudice della legittimità, adottata in altro giudizio,
non rende ictu oculi inammissibile la questione proposta e, comunque, non assume
alcun rilievo nella sede attuale.
3.5. - Parimenti irrilevante in questa sede è l'eccezione - sollevata
con la memoria depositata nell'imminenza dell'udienza - di nullità del
giudizio principale in quanto promosso innanzi ad un giudice incompetente,
sollevata sulla base della considerazione che esso era stato incardinato innanzi
al Tribunale di Treviso precedentemente alla sentenza della Corte di cassazione
n. 2016 del 2001, con la quale, in sede di regolamento di competenza, era stata
dichiarata la competenza del Tribunale di Roma, e, poi, era proseguito innanzi
alla Corte di appello di Venezia, e, quindi, in Cassazione, nonostante la esplicita
eccezione di incompetenza sollevata dai convenuti in seguito alla citata sentenza
n. 2016 del 2001.
La decisione da ultimo richiamata, emessa nel giudizio di ammissibilità dell'azione
ex art. 274 cod. civ., non ha alcuna efficacia nel diverso giudizio di merito
ex art. 269 cod. civ., attesa l'autonomia fra gli stessi e tenuto conto che
la questione non risulta dedotta nel giudizio di cassazione, nel cui corso è stata
prospettata la questione di costituzionalità oggi in discussione.
3.6. - Né, infine, rileva la circostanza che, successivamente all'ordinanza
di rimessione, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 16531 del 2005, abbia
dichiarato ammissibile l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale
proposta fra le stesse parti, non solo perché la vicenda del giudizio
incidentale di legittimità costituzionale non può essere influenzata
da eventi successivi che potrebbero incidere sul procedimento principale (v.,
tra le altre, ordinanze n. 270 del 2003, n. 383 del 2002, n. 110 del 2000),
ma anche, e soprattutto, perché oggetto del giudizio a quo è la
proponibilità del giudizio di merito in assenza di un giudicato sulla
ammissibilità della domanda: oggetto sul quale non può in alcun
modo incidere il sopravvenire del giudicato in questione.
4. - Passando all'esame del merito, la questione è fondata.
Il codice civile del 1942 - come risulta dalla Relazione del Guardasigilli
al Progetto definitivo - allo scopo di scoraggiare iniziative con finalità solo
ricattatorie, introdusse, con l'art. 274 cod. civ., la previsione di un preventivo
giudizio di delibazione in ordine all'ammissibilità dell'azione per
la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale,
nel corso del quale, con indagine sommaria e segreta, si potesse valutare l'esistenza,
o meno, di indizi tali da far apparire giustificata detta azione.
Tale giudizio doveva svolgersi in camera di consiglio; l'inchiesta sommaria
doveva avere luogo senza alcuna pubblicità, ed essere mantenuta segreta,
e il decreto con cui si dichiarava ammissibile o inammissibile l'azione non
era reclamabile.
Successivamente, questa Corte dichiarò la illegittimità costituzionale
dell'art. 274, secondo comma, cod. civ. nella parte in cui disponeva che la
decisione avesse luogo con decreto non motivato e non soggetto a reclamo, nonché per
la parte in cui escludeva la necessità del contraddittorio e dell'assistenza
dei difensori, per violazione dell'art. 24, secondo comma, Cost., relativo
al diritto inviolabile della difesa, nonché, sempre in riferimento allo
stesso principio, la illegittimità costituzionale del terzo comma dell'art.
274, per la parte in cui disponeva la segretezza dell'inchiesta anche nei confronti
delle parti (sentenza n. 70 del 1965).
Con la stessa pronuncia la Corte, con riguardo all'art. 30 Cost., rilevò testualmente: «è chiaro
che la ricerca della paternità viene così considerata come una
forma fondamentale di tutela giuridica dei figli nati fuori del matrimonio,
e, come tale, è fatta oggetto di garanzia costituzionale» ed aggiunse: «la
stessa norma costituzionale, però, stabilisce che la legge ordinaria
pone i limiti per la detta ricerca: limiti che potranno derivare dalla esigenza,
affermata nel comma 3, di far sì che la tutela dei figli nati fuori
del matrimonio sia compatibile con i diritti della famiglia legittima e dall'esigenza
di salvaguardare, in materia tanto delicata, i fondamentali diritti della persona,
tutelati anch'essi dalla Costituzione, dai pericoli di una persecuzione in
giudizio temeraria e vessatoria».
A seguito di questa pronuncia fu approvata la legge 23 novembre 1971, n. 1047
(Proroga dei termini per la dichiarazione di paternità e modificazione
dell'art. 274 del codice civile), contenente all'art. 2 una nuova disciplina
del giudizio di ammissibilità dell'azione, la quale stabilì l'obbligo
di motivazione del decreto e la sua reclamabilità alla corte d'appello,
confermando peraltro la non pubblicità dell'inchiesta sommaria compiuta
dal tribunale e l'obbligo di mantenerla segreta.
Dal carattere contenzioso del procedimento la Corte di cassazione ha desunto
la ricorribilità per cassazione, ai sensi dell'art. 111 della Cost.,
avverso il decreto della corte d'appello.
Il contemperamento operato, con le sentenze in precedenza richiamate, del carattere
sommario del procedimento con la salvaguardia del diritto di difesa, attraverso
la previsione dell'obbligo di contraddittorio tra gli interessati, l'obbligo
di motivazione del decreto sulla domanda di ammissibilità e il reclamo
alla corte d'appello, nonché la riconosciuta ammissibilità del
ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., finiscono per escludere
quel carattere di segretezza posto a difesa del preteso padre.
La riforma del diritto di famiglia del 1975 ha lasciato poi immutata la struttura
del procedimento, limitandosi a sostituire le «specifiche circostanze» agli «indizi» di
cui al testo originario dell'art. 274 cod. civ., quali elementi la cui sussistenza è richiesta
ai fini del giudizio di ammissibilità di cui si tratta.
Questa Corte ha successivamente dichiarato la illegittimità costituzionale
dell'art. 274 cod. civ. nella parte in cui, se si tratta di minore infrasedicenne,
non prevede che l'azione promossa dal genitore esercente la potestà sia
ammessa solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all'interesse del
minore (sentenza n. 341 del 1990), ma ha ritenuto sufficiente, ai fini dell'ammissibilità dell'azione,
l'esistenza di elementi anche di tipo presuntivo idonei a far apparire l'azione
verosimile, precisando che «il procedimento in esame è ispirato
pertanto a due finalità concorrenti e non in contrasto fra loro, essendo
posto a tutela non solo del convenuto contro il pericolo di azioni temerarie
e ricattatorie, ma anche e soprattutto del minore, il cui interesse sta nell'affermazione
di un rapporto di filiazione veridico, che non pregiudichi la formazione e
lo sviluppo della propria personalità» (sentenza n. 216 del 1997).
A ciò bisogna poi aggiungere che la costante giurisprudenza della Corte
di cassazione ha valutato le «specifiche circostanze» cui fa riferimento
l'art. 274 cod. civ. alla stregua di criteri di verosimiglianza e non di certezza,
ritenendo sufficiente che la dichiarazione della madre sia supportata da un
fumus boni iuris (Cass., sentenze n. 151 del 1998, n. 2346 del 1994, n. 7742
del 1995), rinviando al giudizio di merito l'esame delle contestazioni sollevate
dal convenuto e limitandosi a conoscere delle eccezioni di improponibilità dell'azione
(per decadenza, giudicato, transazione) in via meramente delibativa al solo
fine di emettere la decisione sull'ammissibilità dell'azione instauranda
(Cass. n. 2979 del 1976). In tal modo la stessa Corte di cassazione ha fornito
conferma alla opinione di quanti avevano definito il giudizio di ammissibilità di
cui si tratta un "ramo secco" dell'ordinamento che limita il diritto dei figli
all'accertamento della paternità senza più salvaguardare le esigenze
del preteso genitore. In definitiva, detto giudizio può ormai considerarsi
un inutile duplicato idoneo solo a favorire istanze dilatorie.
Ed, infatti, la descritta evoluzione della disciplina procedimentale del giudizio
di ammissibilità ha totalmente vanificato la funzione in vista della
quale tale giudizio era stato originariamente previsto dal legislatore, e cioè la
protezione del convenuto da iniziative «temerarie e vessatorie» perseguita
attraverso la sommarietà e la segretezza della cognizione, devoluta
in questa fase all'organo giudicante; con la conseguenza che il giudice è abilitato
dalla norma attualmente in vigore a dare alla sua cognizione l'estensione ritenuta
più opportuna e pertanto tale da spaziare, come ha statuito la giurisprudenza
di legittimità, dalla ammissione di accertamenti tecnici idonei a definire
il giudizio di merito, senza che ciò incida sulla necessità della
sua successiva proposizione, fino alla sufficienza delle sole affermazioni
della parte ricorrente.
Peraltro, il meccanismo processuale di cui alla norma impugnata - in palese
contraddizione con la sua funzione "preventiva"- si presta, come è stato
esattamente rilevato nell'ordinanza di rimessione, ad incentivare, per la sua
stessa struttura, strumentalizzazioni, oltre che da parte del convenuto, anche
da parte dello stesso attore che, attraverso una accurata programmazione della
produzione probatoria, è in grado di assicurarsi - non essendo il provvedimento
di inammissibilità suscettibile di passare in giudicato - una reiterabilità,
a tempo indeterminato, della istanza di riconoscimento, con la conseguenza
che, proprio a fronte di iniziative effettivamente vessatorie, il convenuto
potrebbe non esserne mai definitivamente al riparo.
L'intrinseca, manifesta irragionevolezza della norma (art. 3 Cost.) fa sì che
il giudizio di ammissibilità ex art. 274 cod. civ. si risolva in un
grave ostacolo all'esercizio del diritto di azione garantito dall'art. 24 Cost.,
e ciò per giunta in relazione ad azioni volte alla tutela di diritti
fondamentali, attinenti allo status ed alla identità biologica; così come
da tale manifesta irragionevolezza discende la violazione del precetto (art.
111, secondo comma, Cost.) sulla ragionevole durata del processo, gravato di
una autonoma fase, articolata in più gradi di giudizio, prodromica al
giudizio di merito, e tuttavia priva di qualsiasi funzione Né può tacersi
che l'evoluzione della tecnica consente ormai di pervenire alla decisione di
merito, in termini di pressoché assoluta certezza, in tempi estremamente
concentrati.
Da quanto precede deriva l'incostituzionalità dell'art. 274 cod. civ.
per violazione degli articoli 3, secondo comma, 24 e 111 della Costituzione,
senza che sia di ostacolo alla relativa pronuncia la limitazione del petitum,
contenuta nella ordinanza di rimessione, nella quale si fa riferimento al solo
giudizio di ammissibilità promosso da maggiorenni.
La definizione dei termini della questione, adottata dal rimettente sotto il
vincolo che allo stesso si impone in funzione della sua rilevanza nel giudizio
principale, non limita le valutazioni di questa Corte sul procedimento regolato
dalla disposizione impugnata, ove affetta dai denunciati vizi nella sua complessiva
e generale applicazione ad ogni ipotesi di delibazione di ammissibilità dell'azione.
Infatti, in presenza di una incostituzionalità che, come si è appena
visto, coinvolge detto procedimento nella sua struttura e funzione, la circostanza
che lo stesso abbia anche lo scopo di accertare l'interesse del minore non
fa venire meno l'incostituzionalità stessa, né giustifica la
permanenza nell'ordinamento del giudizio di ammissibilità con questo
solo scopo.
L'esigenza, infatti, che l'azione di dichiarazione giudiziale della paternità o
maternità naturale risponda all'interesse del minore non viene certamente
meno con la soppressione del giudizio di cui all'art. 274 del codice civile,
ma potrà essere eventualmente delibata prima dell'accertamento della
fondatezza dell'azione di merito.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 274 del codice civile.
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