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Articolo del 15/02/2012 | Autore Avv. Eugenio Gargiulo | Altri articoli dell'autore |
Durante il proprio turno
di "guardia",
il medico
e' tenuto ad effettuare, al più presto, tutti gli interventi
che gli siano
richiesti direttamente dall'utente,
oppure ( ove esista ) dalla centrale
operativa, entro la fine del turno cui è preposto.
(art. 13 , comma III,
d.P.R. 25 gennaio 1991, n. 41)
E', pertanto,
ritenuto responsabile
del reato di cui all' art. 328,
comma 1,
del codice penale (rifiuto di atti
d'ufficio) il sanitario, in servizio di guardia
medica, il quale, messo telefonicamente al corrente di una
sintomatologia aspecifica quale il vomito continuo presentato da un
bambino in
tenera età, si sia limitato a suggerire la somministrazione,
mediante
"iniezione intramuscolare", di un prodotto indicato per la ipotizzata
affezione gastroenterica, rifiutandosi
di effettuare la richiesta visita
domiciliare, pur a fronte della rappresentata
incapacità, da parte dei
familiari del bambino, di provvedere alla suddetta somministrazione.
E' quanto stabilito dalla Suprema
Corte di Cassazione , con
una recente sentenza , con la quale ha inteso "fare chiarezza" sulla
delicata e , nel contempo, spinosa questione relativa alla
discrezionalità o
meno di intervento di assistenza domiciliare da parte del "servizio di
guardia medica" (Cassazione penale , sez. VI, 11 febbraio 2009, n.
12143).
Gli "ermellini" romani , chiamati a
valutare la
corretta applicazione della legge, da parte dei magistrati
pronunciatisi sul
caso nei due precedenti gradi di giudizio, hanno affermato che "
.commette
il delitto di rifiuto di atti d'ufficio la guardia medica che, posta
telefonicamente al corrente di una grave
sintomatologia riferita da un paziente ( o dai suoi
"parenti") ,
non si rechi al domicilio per effettuare un accurato esame clinico, ma
si
limiti a invitare il chiamante a rivolgersi al "118". Con riguardo
alla guardia medica, infatti, l'obbligo giuridico di attivarsi con
urgenza, ove
sia richiesto il suo intervento, è posto dall'art. 13 del
d.P.R. 25 gennaio
1991 n. 41, laddove
la stessa norma prevede,
a carico del medico che effettua il
servizio di guardia in forma attiva, l'obbligo di rimanere a
disposizione,
durante il turno, «per effettuare gli interventi domiciliari
o a livello
territoriale che gli saranno richiesti» e di
«effettuare al più presto gli
interventi che gli siano richiesti direttamente dall'utente». È pur
vero, infatti, che
il medico ha il compito di valutare la
necessità di visitare il paziente sulla base del quadro
clinico prospettatogli,
considerando che il rifiuto rilevante a norma dell'art. 328, comma 1,
c.p. deve
riguardare un atto indifferibile il cui mancato compimento
può comportare un
pregiudizio irreparabile; ma una tale discrezionalità
può essere sindacata dal
giudice alla luce degli elementi di fatto acquisiti agli atti e
sottoposti al
suo esame, attraverso i quali potrà accertarsi se
l'esercizio del potere di
valutazione del sanitario sia stato effettivo o, invece, meramente
apparente."
Come già evidenziato in
precedenti sentenze , la Suprema
Corte di Cassazione ha, altresì, precisato nella sua recente
pronuncia che
" ..del resto, la fattispecie incriminatrice di cui si parla,
è delineata
come reato di pericolo, nel senso che prescinde dalla causazione di un
danno
effettivo, e postula semplicemente la potenzialità del
rifiuto a produrre un
danno o una lesione. In questa prospettiva, è indubbio, di
fronte alla denuncia
di un grave stato di sofferenza (quale quello lamentato nel caso di
specie),
che il medico di guardia abbia il dovere di intervenire con
tempestività presso
il domicilio, per rendersi conto direttamente delle reali condizioni
del
paziente e apprestare le cure necessarie, mentre la mancata adesione
del medico
a effettuare la visita domiciliare non può essere
considerata espressione di una
valutazione discrezionale, ma di un vero e proprio rifiuto di atto
d'ufficio." ( in tal senso vedasi anche Cassazione penale , sez. VI, 28
maggio 2008, n. 35344).
In conclusione va , quindi, ribadito
che , in tema di
rifiuto di atti di ufficio in materia sanitaria, sussiste il
presupposto della
necessità ed improcrastinabilità della
prestazione di assistenza sanitaria da
parte del medico di guardia, di cui all'art. 13 del d.P.R. 25 gennaio
1991, n.
41, in caso di richiesta di intervento al fine della somministrazione
di
farmaci atti ad alleviare le sofferenze continue di un malato. Ne
deriva che in
tale situazione il rifiuto di intervento da parte del medico
è idoneo a
integrare il reato di cui all'art. 328, comma 1, c.p. , ovvero di
"rifiuto
di atti di ufficio", punito con la reclusione
da sei mesi a due anni ( in tal senso , ancora, Cassazione penale , sez.
VI, 27 giugno 2000,
n. 10445).
Avv. Eugenio Gargiulo
Avvocato |
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