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Articolo del 01/12/2011 | Autore Avv. Eugenio Gargiulo | Altri articoli dell'autore |
Può, legittimamente, configurarsi il reato di "maltrattamenti in famiglia", disciplinato dall'art. 572 del codice penale, anche qualora il soggetto, destinatario delle violenze, non sia il coniuge bensì il più biasimevole amante del reo.
Lo ha deciso la Suprema Corte di Cassazione, sesta sezione penale, in una recentissima pronuncia, con la quale ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere disposta nei confronti di un uomo chiamato a rispondere dei delitti di maltrattamenti e lesioni volontarie aggravate commesse nei confronti della donna con la quale intratteneva una stabile relazione extraconiugale. (Corte di Cassazione, Sez. VI pen., 10 febbraio 2011 - 1° marzo 2011, n. 7929)
Nella importante sentenza gli "Ermellini" hanno evidenziato come nel caso di specie, infatti, per integrare il reato di cui all'art. 572 c.p., non sia indispensabile il "vincolo coniugale", essendo, di contro, sufficiente che il responsabile dei maltrattamenti intrattenga una relazione continuativa con la persona offesa dal reato, che sia possibile assimilare ad "uno stabile rapporto di comunità familiare".
Il difensore fiduciario del ricorrente, nella propria istanza alla Suprema Corte, aveva sostenuto la tesi della impossibilità ed illegittimità di applicare la fattispecie di reato di "maltrattamenti in famiglia" alla circostanza di specie, in quanto il proprio assistito conviveva con moglie e figli nell'abitazione coniugale, e poichè la sua "relazione adulterina" con la amante/persona offesa non sarebbe mai sfociata in "uno stabile rapporto di comunità familiare", suscettibile di determinare reciproci rapporti e obblighi di solidarietà ed assistenza!
L'art. 572 c.p. , disciplinante il reato di "Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli" punisce, difatti, ".Chiunque maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, ..con la reclusione da uno a cinque anni." . Se dal fatto di reato deriva,poi, una lesione personale grave "..si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni."
La Suprema Corte di Cassazione, VI sezione penale, non ha inteso ,invece, aderire a tale orientamento interpretativo più "restrittivo" , estendendo la portata della norma penale anche all'ipotesi di maltrattamenti perpetrati nei confronti dello "stabile" amante, respingendo,così, il ricorso sollevato dall'imputato già condannato per il medesimo reato dal Tribunale di Messina alla misura della custodia cautelare in carcere.
La recente sentenza rappresenta certamente un ulteriore passo verso una forma di "giustizia sostanziale" più equa non "paralizzata" dalla rigidità del formalismo e dall'esasperata attenzione al tenore letterale della norma!
Avv. Eugenio Gargiulo
Avvocato |
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